5° CONCORSO ARTISTICO LETTERARIO “IL VOLO DI PEGASO”

5 Edizione ‘L’attesa’ – riepilogo opere Anipi pubblicateRaccontare le malattie rare: parole e immagini

Il tema del concorso: L’attesa

Di che cosa … di chi? Tante le letture possibili. Per un malato raro o un suo familiare, l’attesa è la speranza di guarigione, la lunga pausa prima di una diagnosi o anche la ricerca di nuovi affetti. Attesa, dunque, come pazienza, desiderio, sogno, timore, incertezza, sofferenza, tempo di rassegnazione o di lotta.

Anche quest’anno alcuni “amici” di A.N.I.P.I. hanno partecipato al concorso e tre lavori sono stati scelti e pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità.

– Un racconto “L’attesa, una dura battaglia”

di Giusy Marangotto

– Una fotografia “L’attesa è speranza… senza tanti punti di domanda”

di Ferdinando Mariani

– Una fotografia “Quante speranze… nell’attesa”

di Debora Marangotto

 

SEZIONE NARRATIVA:

“L’attesa, una dura battaglia”

L’attesa di che cosa….di chi? Per noi malati l’attesa è la speranza di guarigione, la lunga pausa prima di una diagnosi, ma soprattutto siamo sempre in attesa dalla ricerca perché da essa ci aspettiamo una cura, una soluzione alle nostre sofferenze. Ci aspettiamo che chi “ci studia” lo faccia con testa e soprattutto con il cuore e riponiamo in loro una totale fiducia, anche perché il più delle volte mettiamo nelle mani di sconosciuti la nostra vita con la speranza che alla fine ci ridiano la nostra “VITA”, ma…restiamo sempre in paziente attesa!

Quante emozioni possiamo provare mentre siamo in attesa? Molte, ansia, curiosità, malinconia, gioia, angoscia, noia, paura ci accompagnano dall’inizio alla fine del nostro attendere.

Tutta la nostra vita è un’attesa, da quando si nasce a quando si muore. E’ certo che di attese, nel nostro cammino, ce ne sono richieste sempre moltissime e soprattutto di qualsiasi tipo.

Attendere per me “oggi” significa speranza, fiducia e soprattutto pazienza, che, però, quando si devono affrontare delle malattie non sono sempre facili da avere.

Una volta non ero capace di aspettare “senza sapere”. Io dovevo “sapere” senza aspettare!

Già, ma sapere cosa? Fin da piccola la pazienza non c’era, per esempio, io dovevo sapere subito se Babbo Natale mi aveva portato il regalo che attendevo (andavo a guardare dentro i pacchi), dovevo sapere che voto avevo preso in un compito in classe (sbirciavo nel registro), se piacevo al ragazzo che mi faceva battere il cuore ogni volta che lo vedevo (tempestavo di telefonate gli amici), e via di seguito.

Ovviamente erano attese ben diverse da quelle che mi ritrovo a vivere adesso.

Oggi le definirei “infantili e stupide”, ma allora per me erano importanti.

Poi con il passar degli anni cambiarono anche i miei tipi di attese, e pian piano mi accorsi che mentre aspettavo una risposta certa ai miei dubbi e alle mie ansie, mi creavo tanti film tutti diversi. La mia mente era sempre in bilico tra due finali, in pratica mi trovavo sempre davanti ad un bivio, ma poi mi accorgevo che attorno a me sostanzialmente c’era il “vuoto”!

Eh sì, mi rendevo conto che passavo il mio tempo a crearmi dei castelli di carta che, irrimediabilmente sarebbero poi crollati e, di conseguenza…stavo perdendo attimi preziosi della mia vita ad aspettare un evento o una risposta che in ogni caso IO NON POTEVO modificarne il finale….però continuavo!

Poi, con il passare degli anni, nelle mie attese sono entrati i “Mostri”. Mostri che prendevano la forma del Cushing, della demielinizzazione cervico dorsale, e altre patologie e che, dopo ogni esame o visita nell’attesa delle risposte, s’ingigantivano, arrivando a mangiarmi sia fisicamente sia psicologicamente, ma soprattutto mangiavano…le ore della mia vita.

Ovviamente, non me ne resi conto subito, credo che per ogni persona malata sia in pratica impossibile vivere bene l’attesa degli sviluppi della malattia. Nel mio caso, dopo ogni esame attendevo gli esiti facendomi mille domande e dandomi mille risposte, i miei pensieri sfuggivano al mio controllo e pensavo già a quali decisioni prendere se doveva succedere quello che io mi aspettavo.

Il mio tempo era davanti al computer per cercare di “sapere” senza attendere le risposte da parte degli specialisti, ma cosa potevo trovare? Non di certo la risposta esatta e specifica per me, per quella dovevo aspettare!

Quando iniziai a capire che con il mio voler a tutti i costi “saltare” l’attesa facevo del male non solo a me stessa, ma soprattutto a chi mi stava vicino, perché il mio umore cambiava in base alle risposte anticipate che io mi davo. Se il finale costruito da me, era bello, allora ero felice, al contrario diventavo depressa e soprattutto intrattabile.

Fu allora, che iniziai a riflettere e mi dissi: io mentre attendo mi aspetto che accada “questo” e poi invece arriva “quello” che può essere in negativo o in positivo, ma è “quello” che spezza la mia attesa ed è reale, non immaginario e devo accettarlo in ogni caso perché non posso fare niente per cambiarlo.

Mi resi conto che attendere significava riconoscere che ciò che “speriamo” non dipende da noi, perché non siamo noi i “padroni” dell’attesa, ma è l’attesa che cerca di “manovrarci” e, il più delle volte in modo negativo.

Ora a 51anni non voglio più farmi condizionare e manovrare dalle svariate attese che mi aspettano ancora ogni giorno!

Sono stata in attesa di guarire dal Cushing e, quando credevo di avercela fatta…è ritornato ed è arrivato “più devastante” della prima volta! Quante attese…dagli esiti degli esami alle risposte dei medici, dal secondo intervento all’ipofisi, alla radioterapia e, oggi riparto nuovamente da zero, perché tutte le attese vissute sperando che alla fine mi portassero a una guarigione non sono bastate.

Dovrò viverne ancora tante altre fatte di altri esami, di nuove risposte e soprattutto di altre accettazioni, e, non solo per il Cushing, ma anche per la mia demielinizzazione.

Anche per questa malattia l’attesa è vissuta ogni giorno sui nuovi sintomi, sui nuovi dolori, sull’attesa che da un giorno all’altro possa, trasformasi in Sclerosi Multipla e, come se non bastasse, oggi dopo vari esami, mi è stato comunicato che devo sottopormi urgentemente all’asportazione delle ovaie perché sono a rischio di carcinoma!

Mi chiedono come faccio a sopportare tutto ciò, come posso attendere con tranquillità e serenità delle risposte che poi purtroppo si rivelano spesso negative.

Vi confesso, non è sempre facile, ma ho imparato a usare, anche se a modo mio, la fede. Quando sento che sto per cedere alla negatività mi rifugio in un piccolo angolino che mi sono creata dentro di me, dove cerco di “dialogare” con chi mi sa ascoltare senza togliermi la speranza e, questo mi aiuta a farmi rialzare con un carico di ottimismo e fiducia in più.

Cerco anche di usare l’attesa occupando la mia mente e il mio tempo in maniera positiva, leggo, cucino. Amo cucinare e inventarmi piatti particolari, anche se poi finiscono tutti nel congelatore in attesa del ritorno a casa di mio marito. Purtroppo lui lavora in un’altra città e ritorna solo nel fine settimana e, anche questa è un’attesa non facile da sopportare. Per lui ancora di più, perché so, quanto soffre non potendo essermi accanto sempre, ma io sdrammatizzo dicendogli che più mi sta lontano meglio è, così io non l’ho sempre “tra i piedi” e inoltre si evita i miei sbalzi d’umore e comunque abbiamo dalla nostra parte il forte amore che ci unisce che dissolve tutte le attese.

Per quel che posso, sistemo casa, qualche uscita con le amiche, tante telefonate con chi magari sta peggio di me, cercando di infondergli un po’ di entusiasmo e fiducia, provo a vivere le mie attese al meglio, cercando di evitare di pensare al peggio, e, se anche poi il peggioramento arriva, cerco di trovare anche in quello un piccolo segno di positività, insomma non so se riesco a spiegarmi, ma io penso che domani non potrà essere peggiore di oggi, anzi sarà meglio!

L’attesa ti logora, però la serenità è alla base di una guarigione…lo so…è più facile a dirsi che a farsi, ma è così!

Non bisogna arrendersi. Bisogna combattere, perché già lottare, ci dà un’energia diversa, utile anche a vivere e a sopportare meglio le malattie, qualsiasi esse siano.

Battersi ci dà speranza che è un grande stimolo e forza per alzarci ogni mattina e ripartire nell’attesa di una nuova LUCE!

L’ATTESA NON DEVE TOGLIERCI LA SPERANZA DI VIVERE!!!

SEZIONE FOTOGRAFIA:

“L’attesa è speranza… senza tanti punti di domanda”

“Quante speranze… nell’attesa”

Le fotografie sono visibili nell’allegato